Una decisione destinata a fare scuola: la giustizia chiarisce responsabilità, silenzi e conseguenze di uno dei peggiori casi ambientali italiani.
È una sentenza che pesa come un macigno e che segna un prima e un dopo nella storia della giustizia ambientale italiana. Dopo anni di indagini, processi e battaglie civili, i giudici hanno messo nero su bianco una verità che per troppo tempo era rimasta confinata alle denunce dei cittadini: chi inquinava sapeva perfettamente cosa stava facendo e ha scelto di tacere. Il caso PFAS che ha colpito il Veneto non è più solo una ferita aperta, ma un punto fermo dal punto di vista giudiziario.
La pubblicazione delle motivazioni della sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Vicenza ha chiarito in modo inequivocabile le responsabilità dell’ex azienda chimica Miteni, con sede a Trissino. Non si è trattato di errori, disattenzioni o sottovalutazioni. Secondo i giudici, l’inquinamento delle acque è stato il risultato di una strategia consapevole, portata avanti per anni nel silenzio più totale, mentre centinaia di migliaia di persone utilizzavano acqua contaminata.
La sentenza che inchioda Miteni sul disastro PFAS
Già dal 2009, Miteni disponeva di informazioni precise sulla contaminazione delle falde acquifere e sul rilascio di PFAS nell’ambiente. Nonostante questo, l’azienda ha continuato la produzione, includendo anche sostanze ancora più problematiche come GenX e C604, senza informare le autorità competenti né la popolazione coinvolta.
Il 26 giugno scorso, al termine di un processo durato quattro anni e dopo ore di camera di consiglio, la Corte d’Assise di Vicenza ha inflitto complessivamente 141 anni di carcere a 11 dei 15 manager dell’ex stabilimento Miteni e delle multinazionali ICIG e Mitsubishi. Una condanna che riguarda un’area vastissima, comprendente le province di Vicenza, Padova e Verona, dove l’acqua potabile di circa 350mila cittadini è risultata contaminata.

La sentenza che inchioda Miteni sul disastro PFAS – officinamagazine.it
I giudici parlano chiaramente di una scelta imprenditoriale orientata esclusivamente al profitto, in violazione dei principi fondamentali di tutela ambientale. Non comunicare, non fermarsi, non intervenire: questo, secondo la sentenza, è stato il comportamento tenuto nonostante la piena consapevolezza dei danni potenziali e reali per la salute pubblica.
Accanto alle pene detentive, il tribunale ha disposto risarcimenti per decine di milioni di euro a favore di oltre 300 parti civili. Il Ministero dell’Ambiente ha ottenuto 58 milioni di euro, la Regione Veneto 6,5 milioni, Arpav 800mila euro, oltre a somme riconosciute a comuni, province e gestori idrici. Anche i cittadini coinvolti, comprese le “Mamme No Pfas” che hanno avuto un ruolo centrale nella denuncia del disastro, hanno ottenuto un riconoscimento economico, simbolico ma significativo.
La sentenza ribadisce anche la pericolosità dei PFAS, sostanze chimiche definite “forever chemicals” per la loro capacità di persistere nell’ambiente e nell’organismo umano. L’esposizione prolungata è stata associata a gravi effetti sulla salute, dai tumori ai danni al sistema immunitario, fino alle complicazioni in gravidanza e nei bambini.
Sentenza storica sul PFAS: colpevole di aver avvelenato le acque e ha taciuto - officinamagazine.it






